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Mi è successo nella primavera del 2008. Tre, quattro, cinque volte.
È successo che facevo sogni ricorrenti. Di quelli che ti svegli un po’ angosciato. Solo che io non sognavo di cadere, o di perdere i denti o di urlare senza che uscisse la voce.
No.
Io sognavo Enrico Berlinguer. Che difficilmente può essere così radicato nel mio inconscio, se ai tempi del suo funerale io avevo quell’età in cui appena si inizia a guardare i cartoni animati.
L’avevo sognato al tavolino accanto al mio al caffè Elena, al mercato e finanche sul tram con io che gli dicevo che lui non poteva essere lì perché era morto e lui che stava zitto. Poi una volta l’ho sognato a Milano, che mi faceva ciao con la manina mentre era in bicicletta dalle parti di Bastioni Porta Volta. Quella è stata l’ultima volta. Sarà che poi nella primavera del 2008 ci sono state le elezioni.
Stanotte ho avuto un sonno tormentato.
E mi sono svegliata con l’ansia.
Ho sognato di essere a Cortina con la mia famiglia a fare cose ampezzane, roba che -dopo averla provata mio malgrado sulla mia pelle- non augurerei al mio peggior nemico (cfr il Capodanno di Pif per capire cosa intendo). Maman cucinava canederli per una soirée, il Dottorino indossava quei pantaloni assurdi con le bretelle. Alla festa mio fratello avrebbe portato un critico musicale. Di nome Enrico. Quando ho aperto la porta, è comparso Berlinguer. E io a dirgli «Enrico, ma lei non può essere un critico musicale, lei è Berlinguer!» e lui a rispondermi «signorina, non so di cosa parla»…