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A volte quando dal centro devo andare ad ovest della città me ne dimentico e mi sbaglio: anziché salire sulla metro e andare dritta al capolinea Fermi (nomen omen?), entro a Porta Nuova e mi dirigo al binario 20, quello dei treni per Bussoleno, Susa o Bardonecchia. Salgo sul treno, generalmente pensando ai fatti miei e solo dopo un’eternità mi accorgo che è pesantemente in ritardo o che non parte del tutto, e allora mi viene in mente «ah già, ci saranno le manifestazioni no tav».
La verità -e no, non mi vergogno a dirlo- è che sto saltando a piè pari i titoli dei giornali, i servizi in tv e il dibattito nelle piazze virtuali.
I no tav -e, occhio, anche tutti gli altri- mi hanno rotto. Sono stufa di parlarne, sono vent’anni che ne parliamo, ora non sarebbe il caso di passare (e magari fare) altro?
Sono stata una sostenitrice dell’opera, e anche questo non mi vergogno a dirlo. Lo sono stata alla fine degli anni Novanta e nei primi anni Duemila, quando l’euroregione Alpi Mediterraneo da un’idea che era sembrava convertirsi in una realtà concreta sul territorio, quando l’Europa non era più un’entità astratta di cui si parlava ma le banconote che tenevo in mano, era frequentare un’università in Belgio e vedere riconosciuti i miei esami a Torino, era guardare un canale all news che dava la stessa notizia in lingue diverse con un taglio capace di interessare tutti.
Sono stata un’euroentusiasta, ci ho creduto nell’Europa e l’Europa per me era anche la tav.
Oggi non so se potermi ancora dire favorevole alla tav: da una parte per il suo costo in relazione ai fondi a disposizione certo, ma soprattutto perché non credo che i risultati che quest’opera avrebbe portato vent’anni fa li porterebbe anche oggi, in un contesto socioeconomico radicalmente diverso. Ne ho letto e l’ho toccato con mano, e che nella seconda parte dello scorso secolo questo territorio ci credesse nell’Euroregione è un dato di fatto, così come che gli investimenti dell’industria per alcuni decenni siano andati in questo senso. Ma poi qualcosa è cambiato: il resto d’Europa ha iniziato a viaggiare ad alta velocità e qui invece se n’è solo iniziato a parlare, parlare, parlare e le PMI -motore e traino del Nord Ovest- forse sono state forse le prime a stufarsi delle parole e investire in altre direzioni e meno/non più nel territorio della cosiddetta euroregione Alpi Mediterraneo. Ed è così che questo territorio domani potrebbe trovarsi con una “cattedrale nel deserto”, un super treno e niente da spostare.
Tuttavia non mi riesce proprio di dichiararmi una no tav soprattutto perché coi no tav ritengo di aver poco da spartire: le mie ragioni sono diverse dalle loro.
Forse da nativa euroentusiasta, oggi sono un’euroscettica.
Lì sulle barricate continuano a gridare a istituzioni locali, industriali, politici italiani ed europei di vergognarsi.
Io sono e resto indignata che la tav non sia stata fatta quando serviva, vorrei delle spiegazioni sul fatto che la strategia e la realizzazione delle infrastrutture non sia stata comune, transnazionale e coesa. Un’europa non Europa a mio avviso è nata lì.
E allora solo su un punto sono d’accordo con quelli che dicono no: le istituzioni hanno di che vergognarsi.
Ma inoltre penso che anche loro -i no tav quelli veri, i valsusini prima di tutti- dovrebbero vergognarsi: perché i toni e i modi della protesta hanno passato il limite del vivere civile e loro non sono riusciti ad arginare gli esaltati e i violenti che hanno strumentalizzato il movimento portandolo dalla parte del torto al di là delle idee, ma soprattutto dovrebbero vergognarsi perché istituzioni locali, industriali, politici italiani ed europei hanno permesso vent’anni fa che la Valle fosse condannata con l’abbandono degli investimenti, che l’Euroregione restasse un’idea e l’Europa qualcosa a metà.
Han perso il treno -a mio avviso, letteralmente- tutti quanti, chi l’opera la voleva e chi no. E siccome erano tutti molto impegnati a discutere, nemmeno se ne sono accorti.